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GIUSEPPE GARIBALDI

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Giuseppe Garibaldi nasce a Nizza il 4 luglio 1807.
Secondo di cinque bambini, ebbe tre fratelli che furono o marinai, o commercianti (Angelo, il maggiore, marinaio quindi commerciante a New York, finisce console di Piemonte-Sardegna a Filadelfia). Il padre Domenico, piccolo proprietario di cabotaggio di vecchia famiglia nizzarda, e qualificato di commerciante nell'estratto di nascita di Giuseppe, avrebbe voluto che quest'ultimo diventi avvocato, o medico. La sua madre Rosa Raimondo, piemontese di Loano, cristiana entusiasta, avrebbe desiderato far di lui un sacerdote. I suoi genitori avevano potuto acquisire sufficientemente libertà per dare ai loro bambini una buona istruzione al punto da assumere tre precettori, due sacerdoti e un laico, per Giuseppe, ed una balia per la piccola Teresa, l'ultima genita morta in un incendio all'età di due anni.
Garibaldi non era dunque nato dal popolo o dalle classi basse, ma da questa frangia sociale che non aveva completamente rotto i suoi legami con le sue origini plebee e che intendeva segnare la sua differenza con un ambiente socioculturale più intenso.
I tre maestri di Giuseppe svolsero di questo fatto un ruolo determinante nella formazione della personalità del giovane uomo. Il sacerdote Giaume, di qualità scientifica riconosciuta, mancò d'autorità sul suo giovane allievo, cosa che portò Garibaldi ad esprimere alla fine della sua vita un giudizio particolarmente duro sul préceptorat d'ufficio: «credo che l'inferiorità fisica e morale della razza italiana provenga soprattutto da quest'abitudine che consiste nel dare come precettore dei sacerdoti».
In compenso la memoria del signor Arena era molto più forte.
Giuseppe gli doveva infatti la conoscenza dell'italiano, considerato come la sua lingua "materna", senza trascurare il francese, e dei rudiments di storia nazionale che riguardano la dimensione della Roma eterna. Ma il giovane Giuseppe viveva in una Nizza disturbata dai trasalimenti della fine dell'Impero e che negli anni 1814-1815 cambiava paese, cultura e storia. L'insegnante laico seppe così dargli i mezzi intellettuali per comprendere il mondo che cambiava sotto i suoi occhi.
Garibaldi fu così un uomo derivato da due culture, francese ed italiano, culture che lo portarono ad aprirsi al mondo ed uscire dalla sua città natale. Il lavoro di marinaio che sceglie quasi per obbligo lo spinse a viaggiare in tutto il Mediterraneo.
Carattere irrequieto e desideroso di avventura, già da giovanissimo si imbarca come marinaio per intraprendere la vita sul mare. Nel 1832, appena venticinquenne è capitano di un mercantile e nello stesso periodo inizia ad avvicinarsi ai movimenti patriottici europei ed italiani (come, ad esempio quello mazziniano della "Giovine Italia"), e ad abbracciarne gli ideali di libertà ed indipendenza.
Nel 1833 a Marsiglia ci fu l'incontro con Mazzini e si arruolò nella marina sarda per il servizio di leva marittima. Fu incaricato di organizzare un'insurrezione a Genova, contemporaneamente ai moti mazziniani in Savoia, ma le cose non andarono come previste e Garibaldi dovette andare in esilio per evitare la sua condanna a morte.
Agli inizi dell’estate del 1836 Garibaldi, però, accusato dalle autorità di Rio de Janeiro di loschi traffici, assieme ad altri italiani fuorusciti, ricevette l’ordine di espulsione dal Brasile. L’avventuriero, allora, rubò una barca dal porto e, con gli altrisuoi complici, si diede alla pirateria. Braccato dalla Marina brasiliana, si rifugiò nella provincia di Rio Grande presso Bento Gonçalves, capo della rivolta contro la monarchia del Brasile. creò un corpo italiano (le camicie rosse) nel movimento indipendentista uruguagio.
Tornato in Italia nel 1848, con un gruppo di volontari si batté contro gli Austriaci (Luino, Morazzone), ma fu poi costretto a rifugiarsi in Svizzera. Dopo la proclamazione della Repubblica romana, si recò in quella città ed ebbe il comando della Legione italiana contro il corpo di spedizione francese di Oudinot.
Dopo la caduta di Roma si sottrasse alla cattura riparando a San Marino. Fuggendo verso Venezia, perdette, uccisa dalle fatiche, la moglie Anita. Dopo il suo secondo esilio (Tangeri, New York, Perú), nel 1854 era di nuovo in Italia e nel 1856 aderiva alla Società Nazionale di La Farina. Nominato generale dell'esercito piemontese da Cavour, per la guerra del 1859 arruolò 5000 volontari (i Cacciatori delle Alpi), vinse gli Austriaci a Varese e a San Fermo, entrò trionfalmente in Brescia; ma l'armistizio di Villafranca e, soprattutto, la cessione di Nizza alla Francia lo amareggiarono profondamente e raffreddarono i suoi rapporti con il governo sardo.
Nel 1860 Giuseppe Garibaldi è promotore e capo della spedizione dei Mille; salpa da Quarto (GE) il 6 maggio 1860 e sbarca a Marsala cinque giorni dopo. Da Marsala inizia la sua marcia trionfale; batte i Borboni a Calatafimi, giunge a Milazzo, prende Palermo, Messina, Siracusa e libera completamente la Sicilia.

Il 19 agosto sbarca in Calabria e, muovendosi molto rapidamente, getta lo scompiglio nelle file borboniche, conquista Reggio, Cosenza, Salerno; il 7 settembre entra a Napoli, abbandonata dal re Francesco I ed infine sconfigge definitivamente i borbonici sul Volturno. Il 26 ottobre Garibaldi si incontra a Vairano con Vittorio Emanuele e depone nelle sue mani i territori conquistati: si ritira quindi nuovamente a Caprera, sempre pronto per combattere per gli ideali nazionali.
Nel 1862 si mette alla testa di una spedizione di volontari al fine di liberare Roma dal governo papalino, ma l'impresa è osteggiata dai Piemontesi dai quali viene fermato il 29 agosto 1862 ad Aspromonte.
Imprigionato e poi liberato ripara nuovamente su Caprera, pur rimanendo in contatto con i movimenti patriottici che agiscono in Europa.

Nel 1866 partecipa alla Terza Guerra di Indipendenza al comando di Reparti Volontari. Opera nel Trentino e qui coglie la vittoria di Bezzecca (21 luglio 1866) ma, nonostante la situazione favorevole in cui si era posto nei confronti degli austriaci, Garibaldi deve sgomberare il territorio Trentino dietro ordine dei Piemontesi, al cui dispaccio risponde con quel "Obbedisco", rimasto famoso.
Nel 1867 è nuovamente a capo di una spedizione che mira alla liberazione di Roma, ma il tentativo fallisce con la sconfitta delle forze garibaldine a Mentana per mano dei Franco-Pontifici.
Nel 1871 partecipa alla sua ultima impresa bellica combattendo per i francesi nella guerra Franco-Prussiana dove, sebbene riesca a cogliere alcuni successi, nulla può per evitare la sconfitta finale della Francia.
Torna infine a Caprera, dove passerà gli ultimi anni e dove si spegnerà il 2 giugno 1882.